Di Caterina Malagoli, Liceo Tassoni
Basta. Basta. Basta. Basta.
“Vai, su! Cosa aspetti?!”
Chiudi. Chiudi. Chiudi. Chiudi.
“Hai paura?! Lo sapevo! Nemmeno il coraggio hai!”.
Scappa. Scappa. Scappa. Scappa.
“Ecco il tuo vero animo! Siamo codardi, eh! Dovevo immaginarlo”.
Taci. Taci. Taci. Taci.
Perché era così difficile? Bastavano venti secondi, forse trenta, e poi tutto sarebbe finito, concluso, archiviato: soltanto il “Nulla”.
Era forse questo il problema? Il “Nulla”?
Ragiona. Ragiona. Ragiona. Ragiona.
“Come se ne fossi capace! Non possiamo farlo subito? Ora?”
Respira. Respira. Respira. Respira.
“Che noia! Dai! Oggi mi sento pronta!”
Pensa. Pensa. Pensa. Pensa.
Ed eccolo, il pensiero che risale, che diventa nitido, che permette di rimanere lucidi: eccola l’ancora.
I ricordi si fanno più nitidi, più vivi: diventano reali.
Eccoli i sorrisi, le palline di Natale, i giocattoli, i pranzi, le battute, le partite, gli scherzi.
Tutti insieme per tentare di salvarlo, di tirarlo fuori da quell’abisso maledetto.
Ricorda. Ricorda. Ricorda. RIcorda.
“Che patetico! Lo sappiamo entrambi che cederai”
Ignora. Ignora. Ignora. Ignora.
“Pensi di poterlo fare?! Pensi di potermi mettere in un angolo dopo tutto questo tempo?!”
Salvati. Salvati. Salvati. Salvati.
“Vieni da me! Ascoltami! Abbandonati! Lascia questo schifo! Lascia Tutto!”
Lasciare Tutto. Lasciare Tutto.
“Si, lasciare Tutto!”
Lasciare Tutto? Lasciare Il “Tutto”?
Ci sono momenti in cui è il Tutto a fare male: non la testa, non un arto, non il cuore, ma il “Tutto”.
Il concetto di “Tutto” è spesso poco identificabile: è astratto come ogni aspetto che riguarda i ricordi, i pensieri, e forse è proprio per questo che riesce a procurare così tanto dolore: non è un male che possiamo dimostrare o provare con delle semplici e banali lacrime; le persone devono riporre una fiducia incondizionata in noi per poter crederci.
Fiducia. Fiducia. Fiducia. Fiducia.
“Esatto, e chi mai si fiderebbe di te?! Chi?! Chi?! CHI?!”
Ed è qui che si apprende come il concetto di “Tutto” sia, in realtà, come uno di quei concetti matematici che si assumono come primitivi: non ci occorre una diagnosi per capire che il nostro non è un dolore fisico ma un dolore al “Tutto”.
Quando si ha male al “Tutto” si hanno le farfalle nello stomaco, ma di quelle irrequiete, di quelle che urlano e gridano per scendere da quella che è la giostra della vita.
Quando si ha male al “Tutto” non si è nessuno, si è solo il dolore, non vivi davvero; tenti in tutti i modi di rimanere a galla, di non affondare, ma non ci riesci: non riesci a sganciarti da quel masso che ti è stato legato al corpo con lo scopo di farti depositare verso un fondo senza fine, soltanto perchè ti accorgi troppo tardi che in realtà, quel peso troppo grande da superare sei tu.
Io. Io. Io. Io.
“Tu! Tu! Sei sempre e solo tu il problema!”
Sono i tuoi pensieri.
E’ il tuo cervello che elabora continue soluzioni per sfuggire a quel dolore che è così nero, così puro, così forte, ma anche così astratto, così mimetizzabile.
E’ quando hai male al “Tutto” che ti accorgi di averlo, questo “Tutto”. Subito ti senti felice, emozionato: “Ma allora anche io ho il “Tutto” dentro di me! Non è consentito soltanto ai grandi! Anche io sono abbastanza importante!”.
Importante. Importante. Importante. Importante.
“Cosa pensi? Di poter essere importante per qualcosa o qualcuno?! Distruggilo!”
Ma poi ti rendi conto che il “Tutto” è rimasto in silenzio fino a quel momento soltanto per racimolare le forze necessarie per poter essere così letale e doloroso: perché il “Tutto” è il dolore.
L’aspetto interessante è che il proprio “Tutto” lo si alimenta da soli: ognuno di noi, ogni giorno, nutre inconsapevolmente il proprio “Tutto”.
E mentre tu cerchi di coltivare te stesso con amore, ecco che lui si allea con gli altri contro di te: ti plasma, ti tradisce e ti distrugge.
Respira. Respira. Respira. Respira.
“Distruggilo anche tu! Poni fine a tutto questo! Poni fine al “Tutto”!”
Il “Tutto è un’arma a doppio taglio, ma senza di esso rimarrebbe soltanto il “Nulla”.
Ed il “Tutto” è sempre meglio del “Nulla”.
Pensa. Pensa. Pensa. Pensa.
Vivi. Vivi. Vivi. Vivi.
Sorridi. Sorridi. Sorridi. Sorridi.
“Vai, su! Cosa aspetti?!”
Chiudi. Chiudi. Chiudi. Chiudi.
“Hai paura?! Lo sapevo! Nemmeno il coraggio hai!”.
Scappa. Scappa. Scappa. Scappa.
“Ecco il tuo vero animo! Siamo codardi, eh! Dovevo immaginarlo”.
Taci. Taci. Taci. Taci.
Perché era così difficile? Bastavano venti secondi, forse trenta, e poi tutto sarebbe finito, concluso, archiviato: soltanto il “Nulla”.
Era forse questo il problema? Il “Nulla”?
Ragiona. Ragiona. Ragiona. Ragiona.
“Come se ne fossi capace! Non possiamo farlo subito? Ora?”
Respira. Respira. Respira. Respira.
“Che noia! Dai! Oggi mi sento pronta!”
Pensa. Pensa. Pensa. Pensa.
Ed eccolo, il pensiero che risale, che diventa nitido, che permette di rimanere lucidi: eccola l’ancora.
I ricordi si fanno più nitidi, più vivi: diventano reali.
Eccoli i sorrisi, le palline di Natale, i giocattoli, i pranzi, le battute, le partite, gli scherzi.
Tutti insieme per tentare di salvarlo, di tirarlo fuori da quell’abisso maledetto.
Ricorda. Ricorda. Ricorda. RIcorda.
“Che patetico! Lo sappiamo entrambi che cederai”
Ignora. Ignora. Ignora. Ignora.
“Pensi di poterlo fare?! Pensi di potermi mettere in un angolo dopo tutto questo tempo?!”
Salvati. Salvati. Salvati. Salvati.
“Vieni da me! Ascoltami! Abbandonati! Lascia questo schifo! Lascia Tutto!”
Lasciare Tutto. Lasciare Tutto.
“Si, lasciare Tutto!”
Lasciare Tutto? Lasciare Il “Tutto”?
Ci sono momenti in cui è il Tutto a fare male: non la testa, non un arto, non il cuore, ma il “Tutto”.
Il concetto di “Tutto” è spesso poco identificabile: è astratto come ogni aspetto che riguarda i ricordi, i pensieri, e forse è proprio per questo che riesce a procurare così tanto dolore: non è un male che possiamo dimostrare o provare con delle semplici e banali lacrime; le persone devono riporre una fiducia incondizionata in noi per poter crederci.
Fiducia. Fiducia. Fiducia. Fiducia.
“Esatto, e chi mai si fiderebbe di te?! Chi?! Chi?! CHI?!”
Ed è qui che si apprende come il concetto di “Tutto” sia, in realtà, come uno di quei concetti matematici che si assumono come primitivi: non ci occorre una diagnosi per capire che il nostro non è un dolore fisico ma un dolore al “Tutto”.
Quando si ha male al “Tutto” si hanno le farfalle nello stomaco, ma di quelle irrequiete, di quelle che urlano e gridano per scendere da quella che è la giostra della vita.
Quando si ha male al “Tutto” non si è nessuno, si è solo il dolore, non vivi davvero; tenti in tutti i modi di rimanere a galla, di non affondare, ma non ci riesci: non riesci a sganciarti da quel masso che ti è stato legato al corpo con lo scopo di farti depositare verso un fondo senza fine, soltanto perchè ti accorgi troppo tardi che in realtà, quel peso troppo grande da superare sei tu.
Io. Io. Io. Io.
“Tu! Tu! Sei sempre e solo tu il problema!”
Sono i tuoi pensieri.
E’ il tuo cervello che elabora continue soluzioni per sfuggire a quel dolore che è così nero, così puro, così forte, ma anche così astratto, così mimetizzabile.
E’ quando hai male al “Tutto” che ti accorgi di averlo, questo “Tutto”. Subito ti senti felice, emozionato: “Ma allora anche io ho il “Tutto” dentro di me! Non è consentito soltanto ai grandi! Anche io sono abbastanza importante!”.
Importante. Importante. Importante. Importante.
“Cosa pensi? Di poter essere importante per qualcosa o qualcuno?! Distruggilo!”
Ma poi ti rendi conto che il “Tutto” è rimasto in silenzio fino a quel momento soltanto per racimolare le forze necessarie per poter essere così letale e doloroso: perché il “Tutto” è il dolore.
L’aspetto interessante è che il proprio “Tutto” lo si alimenta da soli: ognuno di noi, ogni giorno, nutre inconsapevolmente il proprio “Tutto”.
E mentre tu cerchi di coltivare te stesso con amore, ecco che lui si allea con gli altri contro di te: ti plasma, ti tradisce e ti distrugge.
Respira. Respira. Respira. Respira.
“Distruggilo anche tu! Poni fine a tutto questo! Poni fine al “Tutto”!”
Il “Tutto è un’arma a doppio taglio, ma senza di esso rimarrebbe soltanto il “Nulla”.
Ed il “Tutto” è sempre meglio del “Nulla”.
Pensa. Pensa. Pensa. Pensa.
Vivi. Vivi. Vivi. Vivi.
Sorridi. Sorridi. Sorridi. Sorridi.
Commenti
Posta un commento