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Capovolgimento di ruoli


di Deana Sulejmanasi

Risale a febbraio 2020 la condanna all’ex produttore cinematografico statunitense Harvey Weinstein, giudicato colpevole di stupro di terzo grado e atti sessuali criminali di primo grado verso l’attrice Jessica Mann.
In seguito alla prima accusa postagli, la conseguente onda mediatica ha portato col passare dei giorni ad un accrescimento di queste storie, coinvolgendo altri esponenti statunitensi e del resto del mondo. L’impatto è stato tale da accendere e dare luogo al movimento femminista MeToo, contro le molestie sessuali e la violenza sulle donne, il quale ha aiutato moltissime donne a rompere il silenzio e denunciare.
Qualche giorno fa è stata eretta a New York, al Manhattan’s Collect Pond Park, proprio davanti al tribunale dove fu condannato Weinstein, una statua rappresentante Medusa, quasi trionfante e fiera, con in mano la testa decapitata di Perseo.


Opera dell’artista italo-argentino Luciano Garbati, il quale ha affermato di aver dedicato la statua al coraggio di quelle donne che sono e sono state vittime e che si oppongono alle violenze e all'omertà, ispirandosi alla scultura manierista di Benvenuto Cellini, essa offre un ribaltamento della mitologia antica, che in questo caso vede Medusa, rappresentazione della donna intrappolata nel potere maschile, la protagonista del dibattito.  
Esistono varie versioni del mito qui rappresentato e una di queste racconta come in origine, sia stato l’eroe Perseo, figlio di Zeus e di Danae, a decapitare la Gorgone Medusa, ma se partissimo dall’inizio, conosceremmo lo strazio e il tormento provati da Medusa, stuprata dal dio del mare Poseidone, ammaliato dalla sua bellezza, in un tempio sacro ad Atena. Quest’ultima, ebbra di rabbia per il tempio profanato, sfogò la sua ira sulla fanciulla, trasformandola in un mostro con i capelli di serpenti e la capacità di pietrificare chiunque incrociasse il suo sguardo e inviando il semidio Perseo ad ucciderla.
È qui che vediamo come la colpa sia ricaduta su Medusa, anziché sul colpevole dell’oltraggio, Poseidone, o su Perseo, l’uccisore, ispirando l’artista Garbati a lanciare questo messaggio di denuncia del ribaltamento di colpe, conosciuto come victim-blaming (colpevolizzazione della vittima).
Nel contesto dello stupro e della violenza di genere, questo concetto si riferisce alla tendenza diffusa ad interpretare, "colpevolizzandoli", i comportamenti delle vittime, filtrando abusi e violenze da fattori come l’abbigliamento indossato e retrospettivamente, analizzandone il vissuto, il lavoro, lo stato civile, il comportamento, presumendo quindi che la vittima se la sia cercata o che abbia "meritato" la violenza subita.
Ritroviamo un esempio fra i Greci: Erodoto sosteneva che il matrimonio forzato per rapimento fosse desiderato dalle donne e che quindi fosse saggio non preoccuparsi del loro destino:
«Ora, il rapire donne è considerato azione da malfattori, ma il preoccuparsi di donne rapite è azione da dissennati, mentre da saggi è il non darsi delle rapite alcun pensiero, perché è chiaro che se non avessero voluto non sarebbero state rapite»
Possiamo ritrovare esempi di questo tipo in  molti racconti mitologici, di cui purtroppo le vicende spesso non vengono raccontate per intero. Per un motivo che non conosciamo, scene di stupri, rapimenti e violenze, che vedono vittime le donne, vengono ribaltate e fatte passare per travolgenti storie d’amore.
Si parla di discendenze nate da stupri, di matrimoni conseguenti a un rapimento e solo un’accurata riflessione introspettiva ci porta a capire gli effetti che questi soprusi hanno avuto sulle donne.
Per farvi alcuni esempi, Persefone venne rapita dallo zio Ade, che la portò negli Inferi per sposarla contro la sua volontà; Dafne, dopo aver rifiutato le attenzioni del dio Apollo, cominciò a fuggire fino a supplicare gli dei di trasformarla in una pianta; Cassandra, rifugiatasi nel tempio di Atena dopo la conquista della città di Troia, fu trovata da Aiace e stuprata sul posto; Andromaca fu rapita e portata a Troia per dare un erede ad Ettore; Rea Silvia venne seppellita viva per ordine dello zio per aver violato il voto di castità.
Così i miti raccontano come fosse normale per gli uomini dell’epoca la condizione a cui le donne dovessero vivere e metaforicamente, tramite la statua di Medusa, Garbati ha voluto proprio omaggiare il movimento MeToo e incoraggiare le donne a rivendicare i propri diritti.
D’altro canto però, è giusto ricordare come non sia possibile analizzare questi miti senza contestualizzarli: all’epoca lo stupro, la violenza, la vergogna, non erano visti, condannati e vissuti come oggi; potrebbe dunque risultare scorretta un’interpretazione che vede queste storie, specialmente quella rappresentata dal Garbati, come rappresentanti della prevaricazione degli uomini, che per propri scopi hanno deciso sulla vita molte donne.
Da un’affermazione simile, possiamo contraddistinguere le varie polemiche che si sono fatte largo nell’ultimo periodo sempre riguardo alla statua di Medusa.
In particolare sono stati criticati il corpo e l’aspetto della protagonista e il fatto che sia stato un uomo a cimentarsi nella diffusione di un messaggio tanto delicato e importante.
Il corpo è stato accusato di “eurocentrismo e stereotipia”, per cui la protagonista non dovrebbe avere i tratti di un personaggio europeo, in quanto il movimento MeToo è stato iniziato da una donna di colore, a quanto detto dall’attivista femminista Wagatwe Wanjuki, inoltre, la modellazione del corpo sembra avere interpretato le caratteristiche associate alle fantasie erotiche di predominio maschile, quali la magrezza, l’esilità e l’altezza.
Ma cos’è veramente giusto rappresentare? O meglio, come sarebbe meglio rappresentare il coraggio, la forza, la sofferenza e il passato delle donne? È sbagliato affidare ad un uomo questo compito?
Credo che non ci sia un modo giusto per descrivere una donna, perché non esistono standard, regole, modelli da seguire, e risulterebbe quindi difficile e forse anche inutile domandarsi come scolpire un corpo femminile, se renderlo in carne o snello, alto o basso, perché in ogni caso rimarrebbe femminile, se il concetto di base è corretto. Per questo motivo riterrei più appropriata una figura mitologica per simboleggiare l’intero universo femminile, senza dover di conseguenza scegliere quali tratti fisici e fisionomici siano i più opportuni.
Per quanto riguarda invece il ruolo che un uomo dovrebbe avere in questa situazione, nel 1983 nel libro Men in Feminism, Stephen Heath scriveva, «La relazione tra gli uomini e il femminismo è impossibile. Le donne sono i soggetti del femminismo, coloro che l’hanno iniziato e che lo portano avanti, la sua forza. Gli uomini sono l’oggetto di analisi, agenti di quella struttura che deve essere modificata, rappresentanti, portatori della modalità patriarcale. Ciò non significa, ovviamente, che non posso fare niente nella mia vita, che non posso rispondere e cambiare per il femminismo». Con gli anni la situazione si è evoluta sino a superare il “separatismo” che escludeva gli uomini dal movimento femminista. Poiché il femminismo non rappresenta e non ha mai rappresentato odio verso il genere maschile e la mascolinità, l’uomo non deve sentirsi impossibilitato dall’esprimersi a suo modo per appoggiare un ideale femminista e diffonderlo tra i suoi simili. Come ha detto infatti l’autrice Kelley Temple, «Gli uomini che vogliono essere femministi non hanno bisogno di ricevere spazio nel femminismo. Devono prendere lo spazio che hanno nella società e renderlo femminista».


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